Università nova e dintorni
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Re: Università nova e dintorni
le due grandi scalinate ai lati sono due grandi spirali
con un elegante passamano art déco
cosa ci faccia in atrio a pianterreno non so, ma c'è un pianoforte verticale con candelieri di tipo art nouveau
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Re: Università nova e dintorni
ai lati dei piani ci sono altri altorilievi restaurati non molti anni fa di cui ignoro la collocazione originale
il pavimento di questo lato ha dei mosaici pavimentali che non ci sono dal lato opposto
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Re: Università nova e dintorni
visti dall'alto, noi dal quarto piano dicevamo che erano gli studenti che dopo dieci bocciature ad Analisi 1 si erano gettati dall'alto delle scale
gli ampi pianerottoli
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Re: Università nova e dintorni
questo ora è un corridoio espositivo, ai miei tempi c'era la segreteria severissima sulla precisione delle domande
visita all'Aula Magna
aula che ricordo ai tempi delle grandi assemblee sessantottine, al centro presiedeva Colleoni ( che poi diventerà console onorario di Mongolia) lunghi dibattiti ( tre interventi a favore, tre contro la mozione..) tiravano in lungo fino a ora di pranzo, i non impegnati andavao a casa e allora le votazioni venivano decise dagli impegnati..
in alto il di Mascherini
visita all'Aula Magna
aula che ricordo ai tempi delle grandi assemblee sessantottine, al centro presiedeva Colleoni ( che poi diventerà console onorario di Mongolia) lunghi dibattiti ( tre interventi a favore, tre contro la mozione..) tiravano in lungo fino a ora di pranzo, i non impegnati andavao a casa e allora le votazioni venivano decise dagli impegnati..
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Re: Università nova e dintorni
toghe pronte per lauree ( dove mi laureai io nulla di questi)
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Re: Università nova e dintorni
visitiamo i sancta santorum, le sale del rettorato e dei consigli
bellissimi pavimenti e tavoli anni trenta
un tavolo con servizi da scrivania anni trenta
e le sale col la collezione anni 50
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Re: Università nova e dintorni
gonfalone storico
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Re: Università nova e dintorni
vediamo i dipinti come sono nella loro sede
a me piace questo Rosai
in fondo un busto romano in gesso
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Re: Università nova e dintorni
uscita, i soliti edifici, fra cui si distingue questo detto non ricordo se Tutankamen o la tomba di Tutankamen
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Re: Università nova e dintorni
sto scoprendo tante storie collegate alla costruzione, ve le racconterò un po' alla volta
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Re: Università nova e dintorni
qualche dettaglio e informazione in più: comincio dall’esterno, l'edificio era stato progettato nel 38 (sì quando Mussolini venne a Trieste non solo fece il famigerato discorso in Piazza, ma pose pur e la prima pietra dell'edificio) quindi in un clima particolare, ma i lavori vennero ripresi nel 1950, quando il clima era mutato. Questo spiega che i bassorilievi di sinistra che dovevano essere le opere di pace del fascismo diventarono le opere del lavoro e dell’industria.
E qui un dettaglio:
questi due personaggi - opera dello scultore Mario Moschi , rappresentano gli architetti Raffaello Fagnoni, fiorentino, a sinistra e Umberto Nordio, triestino, a destra , progettisti dell'edificio. Nel dopoguerra, fu Nordio a predominare per arredo e conclusione dell'opera
E qui un dettaglio:
questi due personaggi - opera dello scultore Mario Moschi , rappresentano gli architetti Raffaello Fagnoni, fiorentino, a sinistra e Umberto Nordio, triestino, a destra , progettisti dell'edificio. Nel dopoguerra, fu Nordio a predominare per arredo e conclusione dell'opera
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Re: Università nova e dintorni
ne parlavamo giàbabatriestina ha scritto: ↑dom 15 ott 2023, 21:17 vediamo i dipinti come sono nella loro sede
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Re: Università nova e dintorni
in realtà quel che ci hanno fatto vedere non è tutta la collezione, ma solo una parte visibile nelle sale del Rettorato.
E dai testi consultati vedo che il fregio degli Argonauti è una copia e l'originale dovrebbe trovarsi presso l'armatore della nave ormai demolita.e cco qua "Per la città di Trieste il completamento del corpo centrale dell’Università per mano di Umberto Nordio e Vittorio Frandoli ha nel dopoguerra una valenza particolare: l’edificio doveva infatti interpretare “la necessità che la cultura italiana di Trieste avesse una palese affermazione ai confini della patria, incorporandosi in un’opera che dominasse per mole e proporzioni tutto il panorama, che si ergesse quale pilone d’ingresso della città sulla via proveniente dal confine” (FAGNONI, NORDIO 1950, p. 5). Per la decorazione del soffitto dell’aula Magna Nordio sceglierà un lavoro di Marcello Mascherini pensato per il soffitto della veranda di prima classe della ristrutturata nave Conte Biancamano, oggi ricomposta al Museo della Scienza e della tecnica di Milano, il grande anello in gesso che raccontava con una sequenza di bassorilievi il mito di Giasone. Narrando del viaggio degli Argonauti lo scultore faceva emergere “il sentimento della separazione e dell’incertezza sul proprio destino, che trova nel mito di fondazione dei propri territori una possibile origine comune tra popoli diversi, capace di unire invece che dividere. Ma nell’ultimo episodio […] Giasone muore schiacciato dalla carena della sua stessa nave mentre dormiva, conferendo all’opera un ulteriore significato simbolico. Può Trieste evitare di rimanere travolta dalla storia? Può Trieste trovare una catarsi nel sacrificio dei suoi territori per ritornare all’Italia? Il Biancamano risorto dalle ceneri della guerra, come una nuova Argo in viaggio per impadronirsi del Vello d’oro, parte per la conquista dell’italianità della città giuliana”"
E dai testi consultati vedo che il fregio degli Argonauti è una copia e l'originale dovrebbe trovarsi presso l'armatore della nave ormai demolita.e cco qua "Per la città di Trieste il completamento del corpo centrale dell’Università per mano di Umberto Nordio e Vittorio Frandoli ha nel dopoguerra una valenza particolare: l’edificio doveva infatti interpretare “la necessità che la cultura italiana di Trieste avesse una palese affermazione ai confini della patria, incorporandosi in un’opera che dominasse per mole e proporzioni tutto il panorama, che si ergesse quale pilone d’ingresso della città sulla via proveniente dal confine” (FAGNONI, NORDIO 1950, p. 5). Per la decorazione del soffitto dell’aula Magna Nordio sceglierà un lavoro di Marcello Mascherini pensato per il soffitto della veranda di prima classe della ristrutturata nave Conte Biancamano, oggi ricomposta al Museo della Scienza e della tecnica di Milano, il grande anello in gesso che raccontava con una sequenza di bassorilievi il mito di Giasone. Narrando del viaggio degli Argonauti lo scultore faceva emergere “il sentimento della separazione e dell’incertezza sul proprio destino, che trova nel mito di fondazione dei propri territori una possibile origine comune tra popoli diversi, capace di unire invece che dividere. Ma nell’ultimo episodio […] Giasone muore schiacciato dalla carena della sua stessa nave mentre dormiva, conferendo all’opera un ulteriore significato simbolico. Può Trieste evitare di rimanere travolta dalla storia? Può Trieste trovare una catarsi nel sacrificio dei suoi territori per ritornare all’Italia? Il Biancamano risorto dalle ceneri della guerra, come una nuova Argo in viaggio per impadronirsi del Vello d’oro, parte per la conquista dell’italianità della città giuliana”"
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Re: Università nova e dintorni
dalla pagina dell'Ateneo https://www.openstarts.units.it/collect ... ?cp.page=6babatriestina ha scritto: ↑dom 15 ott 2023, 19:44
I bassorilievi ( anzi altorilievi) di sinistra, il lavoro etc
La glorificazione del lavoro e della cultura
(1956) Moschi, Mario
Come è già stato sottolineato dalla storiografia, l’iter costruttivo di questo secondo pannello sarà interrotto dagli eventi bellici e concluso soltanto alla fine degli anni cinquanta, tra il ‘56 e il ‘58, senza che peraltro venisse dato grande rilievo alla conclusione dei lavori, evidentemente considerati un retaggio del passato. Del resto si trattava di un aggiornamento soltanto relativo del progetto iniziale: il tema originariamente previsto doveva infatti illustrare La glorificazione del lavoro e delle opere del regime, dovendo ovviamente scomparire ogni riferimento diretto al fascismo, non restava che adeguare il tutto alla contingenza inserendo anche rimandi diretti alla costruzione dell’ateneo che non erano stati previsti nei quattro schizzi sopravvissuti. Moschi, com’è noto, inserirà nella composizione numerosi ritratti: dal proprio, di profilo nello scalpellino al lavoro sotto le ali di Pegaso alla destra della composizione, a quello dell’allora rettore Ambrosino, paludato da senatore romano con una pergamena in mano, per finire nei due progettisti del complesso, Fagnoni e Nordio, vestiti anch’essi all’antica e intenti a sorvegliare i lavori di costruzione dell’Ateneo, di cui poco sopra si scorge la facciata di uno degli avancorpi. Per il resto il tono della composizione non differiva di molto dal tono delle opere di regime, anche se l’enfasi propagandistica del rilievo gemello appare decisamente stemperata. La storia compositiva dell’opera era stata inevitabilmente più lunga e l’artista aveva previsto diverse soluzioni per un pannello che inizialmente doveva rappresentare “le opere di pace”. Rispetto all’unico foglio che illustra le “opere di guerra”, le soluzioni pensate per il pannello gemello paiono frammentarsi in una serie di episodi poco legati tra loro che riprendono ora l’attività cantieristica, vitale per Trieste, ora il lavoro nei campi, ora le attività universitarie. La soluzione alla fine adottata riprende e riassume tutti questi temi: partendo da sinistra si nota un’allusione al lavoro agricolo, si passa quindi alla costruzione della nuova Università e al toccante brano dell’incontro tra due donne, a sua volta seguito dalla stretta di mano che si scambiano due uomini, vegliati dal rettore e, più sopra, dal volo di Mercurio, genio del Commercio, e da una sorta di improvvisato genio del Lavoro, con mazzuolo e tenaglia in mano. Chiude la composizione a sinistra il citato scultore al lavoro, un gruppo di nudi che cercano di domare il cavallo alato Pegaso e un discobolo, inevitabilmente calcato dalla celebre scultura di Mirone e due lottatori in secondo piano. In uno dei citati disegni (Fernetti 2010, p. 57) si nota nella figura di un calciatore, anche una sorta di autocitazione di quella che era stata la creazione più celebre dello scultore, un calciatore in corsa con la palla al piede, perfettamente calata nel contesto culturale del regime.
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Re: Università nova e dintorni
Una sorpresa, un'opera di una nostra forumista fa pure parte delle collezioni, anche se non l'ho vista esposta in occasione della visita FAI
e vi metto pure la descrizione
L’opera è stata acquisita in occasione della mostra personale allestita dall’artista presso la Sala degli Atti della Facoltà di Economia tra il novembre del 2008 e il marzo dell’anno successivo. In quell’occasione Olivia Siauss aveva presentato una selezione di opere che disegnavano con efficacia i contorni del suo percorso agli inizi del nuovo millennio, focalizzando in particolare il suo interesse per il macrocosmo naturale. Pur non esplicitando nel titolo i suoi riferimenti ‘naturalistici’, l’opera in esame testimonia efficacemente il personalissimo approccio alla natura della pittrice, che si muove intorno a un trasparente campionamento di stimoli cromatici che vengono articolati su complessi diagrammi alludenti ora alla musicalità visiva del quotidiano ora all’espressionismo astratto di Afro Basaldella, da sempre tra i motori principali della sua ispirazione. Ai suoi esordi nell’attività artistica, all’inizio degli anni Settanta, Olivia Siauss aveva infatti frequentato dal 1972 i corsi di pittura e di figura tenuti da Nino Perizi presso il Civico Museo Revoltella di Trieste, avvicinandosi quindi all’attività incisoria grazie a Mariano Kravos: una pratica mai abbandonata che fornirà all’artista una preziosa disciplina esecutiva. Per inquadrare quest’ultima tappa del percorso di Olivia Siauss si potrebbe forse ricorrere alla sempreverde definizione di “astratto-concreto” che Lionello Venturi aveva attribuito ad Afro e ad alcuni suoi compagni di viaggio. Al pittore friulano non “bastava rappresentare una realtà di fantasia, di sogno o di memoria esistente oltre il quadro e di cui il quadro era specchio o tramite” ma voleva che “quella realtà si identificasse con la pittura e la pittura divenisse la realtà stessa del sentimento, non la sua rappresentazione”. È proprio il calore delle scritture cromatiche tipiche della produzione degli anni cinquanta di Afro ad animare nella pittrice triestina la ricerca di uno spazio pittorico nuovo e originale, dove il contenuto visivo delle opere esorbita dallo stimolo emotivo di riferimento per andare a costruire quella sintassi autonoma che anima un lavoro come Multicolore, dove la drammaticità della dominante rossastra evoca pulsioni forti. Sensazioni che sono però mitigate dalla scelta deliberata di ricorrere all’equilibrio ordinatore dell’astrazione. In questa come in altre opere coeve si nota infatti una decisa evoluzione nel percorso dell’artista: “se nelle incisioni degli anni Settanta e Ottanta il dato naturale appariva spesso nella sua forma peculiare, tradotto in una scrittura evidente e cristallina, nei lavori di questi ultimi anni la precisione di quella grafia si è rarefatta, sostituita da alberi tramutati in sottili suggestioni segniche, da una stesura dove la componente cromatica ha assunto una doppia valenza. È come se quelle stesse esperienze sensoriali, quelle fornite dall’immersione nel paesaggio, avessero avuto bisogno di distillarsi per potere essere ulteriormente comunicate” (M. De Grassi, I segreti del bosco, pieghevole della mostra di Trieste, Sala degli atti della facoltà di Economia, 19 dicembre 2008 – 31 marzo 2009).
e vi metto pure la descrizione
L’opera è stata acquisita in occasione della mostra personale allestita dall’artista presso la Sala degli Atti della Facoltà di Economia tra il novembre del 2008 e il marzo dell’anno successivo. In quell’occasione Olivia Siauss aveva presentato una selezione di opere che disegnavano con efficacia i contorni del suo percorso agli inizi del nuovo millennio, focalizzando in particolare il suo interesse per il macrocosmo naturale. Pur non esplicitando nel titolo i suoi riferimenti ‘naturalistici’, l’opera in esame testimonia efficacemente il personalissimo approccio alla natura della pittrice, che si muove intorno a un trasparente campionamento di stimoli cromatici che vengono articolati su complessi diagrammi alludenti ora alla musicalità visiva del quotidiano ora all’espressionismo astratto di Afro Basaldella, da sempre tra i motori principali della sua ispirazione. Ai suoi esordi nell’attività artistica, all’inizio degli anni Settanta, Olivia Siauss aveva infatti frequentato dal 1972 i corsi di pittura e di figura tenuti da Nino Perizi presso il Civico Museo Revoltella di Trieste, avvicinandosi quindi all’attività incisoria grazie a Mariano Kravos: una pratica mai abbandonata che fornirà all’artista una preziosa disciplina esecutiva. Per inquadrare quest’ultima tappa del percorso di Olivia Siauss si potrebbe forse ricorrere alla sempreverde definizione di “astratto-concreto” che Lionello Venturi aveva attribuito ad Afro e ad alcuni suoi compagni di viaggio. Al pittore friulano non “bastava rappresentare una realtà di fantasia, di sogno o di memoria esistente oltre il quadro e di cui il quadro era specchio o tramite” ma voleva che “quella realtà si identificasse con la pittura e la pittura divenisse la realtà stessa del sentimento, non la sua rappresentazione”. È proprio il calore delle scritture cromatiche tipiche della produzione degli anni cinquanta di Afro ad animare nella pittrice triestina la ricerca di uno spazio pittorico nuovo e originale, dove il contenuto visivo delle opere esorbita dallo stimolo emotivo di riferimento per andare a costruire quella sintassi autonoma che anima un lavoro come Multicolore, dove la drammaticità della dominante rossastra evoca pulsioni forti. Sensazioni che sono però mitigate dalla scelta deliberata di ricorrere all’equilibrio ordinatore dell’astrazione. In questa come in altre opere coeve si nota infatti una decisa evoluzione nel percorso dell’artista: “se nelle incisioni degli anni Settanta e Ottanta il dato naturale appariva spesso nella sua forma peculiare, tradotto in una scrittura evidente e cristallina, nei lavori di questi ultimi anni la precisione di quella grafia si è rarefatta, sostituita da alberi tramutati in sottili suggestioni segniche, da una stesura dove la componente cromatica ha assunto una doppia valenza. È come se quelle stesse esperienze sensoriali, quelle fornite dall’immersione nel paesaggio, avessero avuto bisogno di distillarsi per potere essere ulteriormente comunicate” (M. De Grassi, I segreti del bosco, pieghevole della mostra di Trieste, Sala degli atti della facoltà di Economia, 19 dicembre 2008 – 31 marzo 2009).
"mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente" ( La Cittadella)